A proposito del film di Sean Penn Into the wild.
Non è semplicemente un film on the road, ma è un film di formazione, un Viaggio dentro se stessi.
Molti adulti fanno dell’Ipocrisia e della Finzione un manifesto di vita, e il Viaggio del protagonista è un viaggio alla ricerca della Verità, al di là di Finzione ed Omologazione, verso la Solitudine e la Comprensione di sè.
E’ un viaggio iniziatico nel vero senso della parola che non può che avere origine dalla Morte e dalla Rinascita: la Morte di Chris McCandless (che si libera di ogni legame con il passato e la Civiltà bruciando i soldi, i documenti, le carte di credito) e la Nascita del sognatore Alex Supertramp (più che un nome un epiteto: “Colui che cammina e vagabonda”).
Ed il Viaggio è segnato da piccoli e grandi incontri, da personaggi tratteggiati con delicatezza e perché no, con poesia: dai maturi Hippies che non sono solo e banalmente “peace and love“, al vecchio reduce solitario che riscopre il gusto per la vita; dalla magica e bellissima ragazzina con la chitarra, all’agricoltore nei guai con i federali…
E ognuno di questi personaggi rappresenterà uno step, un momento essenziale nella crescita e nella formazione del neonato Alex che, attraverso e grazie a loro, arriverà a diventare maturo e pronto per l’ultima Sfida: il Grande Nord.
Nel film non c’è bruttura, non c’è Violenza se non quella della Società: perfino le Terre Selvagge nella loro maestosa bellezza e durezza non cono cattive ed ostili, ma semmai semplicemente Indifferenti.
Su una colonna sonora bellissima si snodano immagini impressionanti e commoventi dell’Ultima Frontiera: l’Alaska che, secondo il regista, non è tanto l’ultima frontiera dell’America, ma della Natura (“c’è un Alaska in ciascuno di noi” dice Sean Penn).
E alla fine il viaggio iniziatico si concluderà con il sacrificio estremo: Alex capirà troppo tardi (dopo aver creduto per tutta la vita che la Felicità non deve essere cercata nei rapporti umani), che la vera Felicità è solo quella che può essere Condivisa e tornerà ad essere Chris, perché bisogna imparare a “chiamare le Cose con il loro Nome”.
Sarà troppo tardi ma, ormai prigioniero del grande Nord, potrà comunque scrivere nell’epilogo del suo diario “Ho avuto una Vita felice”.
Quanti di noi possono dire altrettanto?