La mia passione per la lettura e il mio feticismo per i libri nasce da una sorta di incontro magico, un’attrazione che ogni volta mi permette di entrare in contatto con una nuova storia.
Fatalità ha voluto che stavolta prima del libro la sottoscritta incontrasse l’autrice, Valentina Di Cesare, una giovane collega ed insospettabile scrittrice, modesta e riservata, ma le voci di corridoio corrono e così ho scoperto la sua produzione e il suo primo libro: Marta la Sarta.
L’autrice è giovane e grintosa, (classe 1982) dice quello che pensa, è intellettualmente dinamica, intensa e vera come la sua terra d’origine: l’Abruzzo.
Il suo lato profondamente umano colpisce, come la sua grande empatia e questi sono i motivi che mi hanno spinta a conoscere la sua produzione, poi ammetto di essere stata sedotta dal titolo, senza vergogna ho insistito per averlo e leggerlo e ci sono riuscita.
La copertina è di Francesca D’Amato e racchiude con delicatezza lo spirito del romanzo, sviluppato in 11 brevi capitoli nei quali si evolve una storia pulita, delicata e semplice nell’accezione positiva, dove la semplicità sta per bellezza e verità.
Marta è la protagonista meno protagonista che ci possa essere, il suo mondo è in un luogo e in un tempo che può decidere il lettore; io ad esempio mi sono sentita proiettata nella mia fanciullezza, nel mio piccolo ambiente familiare e del quartiere, dove tutti sembrano un po’ attori ed hanno un ruolo o un mestiere, (il fruttivendolo, il barbiere, il benzinaio, la moglie del tabaccaio, la figlia del panettiere, il nipote del macellaio).
Con lo scorrere delle parole mi sono persa nei ricordi e sono emersi piccoli episodi sepolti nel fondo della memoria, oggetti, giochi e abitudini puerili.
Marta sembra essere una guida che ti accompagna a svelare i personaggi e le loro storie con l’umanità delle piccole cose e il bisogno di essere ascoltati; niente più di questo e Marta questo fa, senza giudicare.
Non ho ben capito se lei, la protagonista, sia contenta o consapevole di questa sua forza, ma devo dire che questa stessa riflessione l’ho fatta anche a proposito di una persona cara che non c’è più, e che tanto me la ricorda con la sua semplicità e modestia.
Vi invito a leggere questo libro per ritrovare, se volete, quel calore umano e semplice delle piccole cose; io nel frattempo, approfittando della mia conoscenza diretta ho preparato una piccola intervista.
Descriviti con tre caratteristiche che ti appartengono:
1)Essere umano 2) umano essere 3) essere.
Questo blog si occupa in particolare di viaggi, tu ami viaggiare?
Sì mi piace viaggiare nel senso che mi piace conoscere tutto ciò che è diverso da me, e che può aiutarmi ad accettare la presenza di abitudini e pensieri differenti dai miei.
In questo senso, la parola viaggiare assume, almeno per me, un significato molto ampio che va al di là dell’atto specifico di prendere un treno o un aereo e girare per le strade di una città d’arte.
Il viaggio è conoscenza dell’alterità e non mero spostamento altrimenti, se così fosse, viste le migliaia di persone che ogni giorno si spostano da un luogo all’altro, non si udirebbero più sciocchi ragionamenti razzisti, pietisti e, in generale, geograficamente stereotipati, teorie che perdurano ancora adesso tra gli uomini e le donne di ogni provenienza e classe sociale.
Abbiamo in comune questa passione per un luogo molto particolare l’Iran, da dove parte questo tuo interesse?
Sono affascinata dalla cultura iraniana ahimè, per motivazioni che hanno poco a che fare con le sue bellezze, anche perché finora non ho mai avuto occasione di vederle.
In Italia ho conosciuto una folta e attiva comunità di rifugiati politici iraniani, fuggiti dal paese nel periodo intercorso tra la fine dell’epoca dello Shah e l’insediamento al potere di Khomeini; sono persone che sognano prima o poi di poter far ritorno a casa ma che ormai hanno trovato un lavoro e una stabilità qui in Italia.
Per adesso, dato il loro status, loro non possono far ritorno a casa, a causa del governo in carica, pena la morte o il carcere. Ho ascoltato le loro storie anche se tra noi, inizialmente, c’era solo un rapporto di conoscenza che invece negli anni si è trasformato in una forte e sincera amicizia. Ho collaborato con loro a tante iniziative di sensibilizzazione e conosciuto da vicino la bellezza della loro cultura (dal cibo all’ospitalità, dalla lingua alla storia), perciò sono felice di avere tra i miei più cari affetti persone che abitavano l’Iran.
Sogno un giorno di poter vedere i miei amici partire per il paese che tanto amano e magari di andarli a trovare.
Qual è stato tuo ultimo viaggio e perché lo hai scelto?
Il mio ultimo viaggio in un luogo lontano è stato in Portogallo, a Lisbona, con escursioni a Sintra, Cascais e Cabo da Roca.
Ho scelto il Portogallo perché la mia passione letteraria è fondata principalmente sugli autori di lingua portoghese (poeti e narratori) e soprattutto sugli scritti dell’italiano Antonio Tabucchi, romanziere tra i più brillanti della nostra modernità; si tratta di un’anima adottata, in un certo senso, dal Portogallo, che a sua volta ha scelto di farsi adottare da questa terra speciale, non soltanto perché decise di viverci (è anche seppellito lì pur essendo senese).
Gran parte dei suoi romanzi, tra cui il più celebre, “Sostiene Pereira”, sono ambientati in questa città affascinante ed unica che è Lisbona, un luogo incantevole che, al di là dei gusti personali, posso affermare goda davvero di un’atmosfera singolare, che si percepisce non appena vi si giunge.
Da quando ci sono andata, non faccio che pensare alle sue strade, al cielo azzurro e terso che si immerge nel Tago, alle correnti atlantiche che scompigliano i capelli e le nuvole…
So cos’è la saudade, la sento davvero anche ora che ne scrivo perché mi basta pensare a quei luoghi per avvertirla, so che ci tornerò e, chi lo sa, forse per molto più di una settimana.
Marta la Sarta è il tuo primo libro, a distanza di quattro anni cosa ci puoi dire?
Marta la sarta è il mio romanzo d’esordio, l’ho messo per iscritto tra il 2012 (quando vivevo in Francia, a Bordeaux) e il 2013. Ho specificato l’azione pratica della scrittura, fissandone i tempi precisi, perché specialmente quando si esordisce, gli anni o i mesi che si impiegano a scrivere sono solo una parte della scrittura. Si scrive anche quando non si scrive, anzi soprattutto quando non si scrive.
Rileggere Marta talvolta mi fa tenerezza, perché con qualche anno di esperienza in più e anche di maturità, ritrovo lati di me stessa che prima erano voragini aperte e che ora sono, finalmente, invisibili vulcani spenti.
Nonostante ciò, ne sono felice, Marta sarà tradotta in romeno (uscirà questo settembre per la casa editrice Aius di Craiova con il titolo “Marta croitoreasă “) e in spagnolo, forse anche in tedesco e francese (la traduzione c’è ma l’editore no, per ambedue) e per l’arabo ci stiamo provando.
La traduzione dei miei testi mi affascina molto, ci tengo parecchio e sto facendo tanto per renderla possibile, perché con essa sono le parole a viaggiare e a cambiare suono, è una sensazione incredibile quella di sapere che anche una sola persona, dall’altra parte del mondo, possa conoscere una storia che tu hai inventato, un giorno d’autunno dalla tua piccola stanza nella piovosa Bordeaux.
Non mi capita spesso di sfogliare Marta in realtà, perché volutamente non possiedo una copia del mio libro in casa, e farò così credo anche per i restanti.
Non c’è snobismo in questo né voler scimmiottare chissà quale trasgressività, è una cosa che faccio naturalmente. Forse, solo quando sarò una vecchia scrittrice alla fine dei suoi giorni, avrò il desiderio di tenerli tra le mani, ma ora voglio che volino via, come coriandoli, l’opera non so di chi sia ma non è certamente dell’autore, lui è solo il tramite.
Raccontaci il tuo ultimo lavoro?
Il mio ultimo libro (il secondo) si intitola “Le strane combinazioni che fa il tempo” ed è un racconto lungo edito da una neonata casa editrice palermitana, la Urban Apnea Edizioni.
Le persone che l’hanno creata sono davvero eccezionali e questo librino per me ha rappresentato molto perché, dopo l’esordio, mettendo da parte i primi mesi, pieni di entusiasmo tra presentazioni e alcuni consensi, ho attraversato anni decisamente meno gioiosi.
Credo che sia un passaggio normale: il primo libro non si dovrebbe mai scrivere, Calvino disse una cosa simile mi pare, ma poi una volta fatto “l’errore” si può solo andare avanti e continuare, ma continuare non è semplice, i dubbi si accumulano giorno dopo giorno, ci si fanno molte domande.
Attenzione, scrivere è un mestiere ed ha le sue difficoltà nonché le sue regole, ma rimane un privilegio, questo non bisogna mai scordarselo quindi è necessario usare bene le parole, anche in questo caso.
Questa casa editrice palermitana, dopo anni di immobilismo scrittorio e tante consapevolezze in più, sia su di me che sul mio modo di intendere la letteratura e dunque la scrittura, mi ha contattata e, grazie alla collaborazione con loro e con la mia editor bravissima, Dafne Leone, è nata questa nuova storia.
Il protagonista è un vecchio professore di filosofia che ricorda un breve periodo della sua gioventù, agli inizi della sua carriera universitaria.
E’un racconto sulla percezione degli avvenimenti che pian piano nella vita può cambiare, ma è anche un testo che incita a rimanere fedeli a se stessi e a non simulare di essere ciò che non si è.
Sei e ti vedo sempre impegnata in mille attività, ora di cosa ti stai occupando?
Le mie uniche attività sono quelle legate alla scrittura e anche alla musica.
Chiaramente si diramano in tante strade: ci sono le nuove cose che sto scrivendo, alcune di loro vedranno materialmente la luce l’anno prossimo; sto approfittando del buon momento creativo che sto sorprendentemente attraversando in questo periodo, perché so, come dicevo prima, che certamente ne arriveranno altri decisamente meno densi, è un meccanismo piuttosto normale e credo anche legittimo che fa capo proprio a noi stessi: abbiamo bisogno di pause, di letarghi, il sonno è l’esempio più lampante del marchingegno che siamo.
Poi ci sono le collaborazioni giornalistiche che mantengo e alle quali tengo molto, non potrei fare a meno di loro, sono anche esercizi di scrittura ovviamente, mai dimenticarsene.
Il giornalismo culturale è una grande fonte di vita per me, lo dico senza esagerazioni, e poi questa è una cosa che devo alla Letteratura, io la sento come una grande amica, una compagna da onorare e celebrare sempre, una presenza immancabile nella mia quotidianità, un abbraccio di conforto, di bellezza.
Sono anche autrice di canzoni e canto, o meglio ho cantato per molti anni.
Nel 2015, abbiamo realizzato un disco, intitolato “Piccole guerre inutili”, io sono l’autrice di tutti i testi mentre i musicisti si sono occupati delle melodie.
Alcuni dei musicisti che hanno fatto parte di questo progetto erano gli stessi con i quali ho iniziato a canticchiare da adolescente.
Il sogno è durato poco, nemmeno un anno: poco dopo il lancio del disco, non tutti se la sono sentita di andare avanti. Peccato perché il progetto, se seguito diversamente e con più interesse da parte di tutti, avrebbe potuto portare ben altro perché aveva molte belle cose all’interno.
L’intero album è comunque disponibile su tutte le piattaforme digitali e ovviamente si può ascoltare gratis su spotify, digitando “Olotropica”.
Ora credo che si stia finalmente concludendo anche il mio letargo canoro (da tre anni ho inevitabilmente smesso, scordandomi addirittura di saperlo fare) e forse potrebbero aprirsi nuove strade, ma stavolta completamente diverse da prima.
Non ho fretta, sono altre le cose indispensabili al mondo ma il tempo anche da questo punto di vista per me, non è trascorso a caso.